Pmi ancora troppo dipendenti da banche e autofinanziamento


Le pmi italiane dipendono ancora eccessivamente da banche e autofinanziamento e non conoscono le forme alternative di finanziamento. E’ emerso alla conferenza di EY e Aipb (Associazione italiana private banking), che si è svolta ieri a Milano.

I lavori sono stati aperti da Andrea Ragaini (presidente di Aipb, in foto), a cui ha fatto seguito l’intervento di Piero Manzoni (membro del gruppo tecnico ambiente di Assolombarda, già vicepresidente di Confindustria Cisambiente, fondatore e amministratore delegato di Simbiosi, consigliere di amministrazione di Snam) che ha offerto una panoramica su visione e prospettive delle imprese. Giovanni Andrea Incarnato (Italy wealth & asset management sector leader di EY) ha illustrato i risultati del rapporto.

A seguire si sono svolte due tavole rotonde. La prima, dedicata al ruolo dell’industria private al fianco delle imprese, ha visto protagonisti Luca Bonansea (direttore divisione private banking e wealth management di Bnl Bnp Paribas), Renato Miraglia (head of wealth management e private banking di Unicredit), Fabrizio Greco (chief private e wealth management officer del Gruppo Bper e ceo di Bper Banca Private Cesare Ponti) e Paolo Tenderini (amministratore delegato di Finint Private Bank). Nella seconda sessione, dedicata all’innovazione finanziaria come leva per la competitività, sono intervenuti Simone Ragazzi (gestore di Algebris Investments), Matteo Serio (direttore commerciale di AcomeA sgr) e Sergio Trezzi (managing director di Sienna IM).

LA FOTOGRAFIA DELLE PMI ITALIANE DI AIPB ED EY

Secondo lo studio di Aipb ed EY, ciò che distingue l’imprenditore rispetto ad altri archetipi di clientela private è l’elevata complessità del suo ecosistema: esigenze personali, familiari e aziendali si intrecciano lungo tutto il ciclo di vita dell’impresa. Il private banking può assumere un ruolo centrale come partner di fiducia, in grado di comprendere e accompagnare la complessità dell’intero ecosistema imprenditoriale, trasformando la consulenza da strumento finanziario a leva per la sostenibilità patrimoniale e la continuità d’impresa.

Le pmi italiane – che generano oltre l’85% del valore aggiunto nazionale e impiegano il 71% della forza lavoro – mostrano una marcata dipendenza dal credito bancario e una forte propensione all’autofinanziamento, mantenendo alti livelli di liquidità inutilizzata.

“Secondo l’Osservatorio Aipb, il 67% degli imprenditori italiani si concentra su una pianificazione di breve periodo, limitata all’anno in corso, mentre il 90% non avverte l’esigenza di ripensare l’assetto societario. L’allargamento degli orizzonti delle pmi chiede invece modelli imprenditoriali fondati su competenze avanzate, processi decisionali condivisi e una maggiore attenzione a trasparenza e sostenibilità. In un quadro di crescente complessità per l’imprenditore, il confronto con il private banking può fare la differenza lungo quattro direttrici chiave: favorire un’estensione dell’orizzonte strategico oltre il breve termine; mettere a disposizione dell’imprenditore competenze specialistiche e consulenza evoluta, anche in ambito di finanza straordinaria; contribuire a rafforzare la governance aziendale, promuovendo equilibrio e chiarezza nei rapporti tra famiglia e impresa; accompagnare con strumenti mirati il passaggio generazionale, assicurando continuità e aprendo nuove traiettorie di crescita”, afferma Ragaini.

Nonostante la solidità del tessuto imprenditoriale italiano, molte imprese – soprattutto le pmi – continuano a operare con modelli di governance semplici, spesso familiari, e con una visione strategica limitata al breve periodo. Questo approccio, seppur prudente, rischia di frenare la crescita. In questo contesto, il private banking può rappresentare un alleato strategico, aiutando l’imprenditore ad allungare l’orizzonte temporale della pianificazione e ad adottare una prospettiva più strutturata e ambiziosa grazie a una consulenza qualificata che facilita l’accesso a competenze specialistiche.

Un altro fronte cruciale è la gestione della liquidità: molte pmi tendono ancora ad accumulare risorse, privilegiando l’autofinanziamento, in attesa di decidere come utilizzarle per alimentare nuovi progetti di sviluppo. Il private banking consente di impiegare queste risorse in modo più efficiente e produttivo, oltre che di indicare forme di finanziamento alternative al credito bancario. Attualmente il credito tradizionale rappresenta il 39% delle fonti utilizzate, contro un limitato 11% per il capitale di rischio e appena il 4% per le obbligazioni. Nonostante un potenziale interesse verso l’apertura del capitale, il 55% degli imprenditori non conosce ancora il private equity, e solo il 3% considera la quotazione in Borsa come opzione concreta.

Il problema consiste nel fatto che gli imprenditori non conoscono private equity, venture capital, minibond e club deal. Le imprese valutano opzione di apertura del capitale, ma pensano solo all’ingresso di un nuovo socio (47%), mentre non sono a conoscenza degli strumenti finanziari alternativi.

Per colmare questo divario conoscitivo, secondo Serio “accanto al private banker occorre anche il racconto dell’imprenditore della sua esperienza con la quotazione in borsa o il private equity”. Gli fa eco Ragazzi di Algebris, che organizza numerosi eventi per imprenditori con società quotate e ha notato che l’esperienza di queste ultime è un grande catalizzatore. “Consiglio ai private banker di portare le aziende dalle sgr, così queste ultime possono capire il loro business e al contempo si inizia a preparare imprenditori a cosa li aspetta dopo”.

Per Giovanni Andrea Incarnato, Italy Wealth & Asset Management Sector Leader di EY, “in fase di crescita e consolidamento proteggere il valore prodotto nel lungo periodo è fondamentale, e questo può avvenire attraverso una pianificazione di investimenti sul lungo termine, con obiettivi precisi e le corrette coperture. Il passo successivo è costruire la continuità d’impresa, attraverso una corretta pianificazione successoria. Lo studio con Aipb dimostra che solo attraverso un modello di servizio integrato, una consulenza personalizzata e un forte investimento nelle competenze della rete, sarà possibile accompagnare le imprese nei momenti chiave del loro ciclo di vita, generando valore per l’intero sistema Paese”.

Infine, Ragaini ha ricordato che “gli imprenditori rappresentano oggi una componente sempre più centrale per l’industria del private banking: costituiscono il 23% della clientela e circa il 30% delle masse gestite. Un dato che riflette la crescente rilevanza di questo segmento, contraddistinto da un elevato patrimonio personale e da bisogni articolati che coinvolgono la sfera privata, quella aziendale e quella familiare”.

IL RUOLO DEL PRIVATE BANKING PER PMI E IMPRENDITORI

L’industria private può essere come un vero partner strategico per imprenditori e pmi, in grado di orchestrare competenze interne ed esterne e costruire intorno all’imprenditore un ecosistema di soluzioni finanziarie e non finanziarie coerente con tutte le fasi del ciclo di vita dell’impresa. Il potenziale afflusso di nuove masse e la maggiore redditività del segmento – favorita da una propensione a investimenti alternativi, come club deal e private market – confermano il ruolo degli imprenditori come driver di crescita per il settore. Non a caso, l’attenzione verso questa clientela è cresciuta in maniera marcata: la totalità degli operatori private è convinto che l’industria debba puntare sull’offerta di servizi e soluzioni dedicate agli imprenditori.

Tuttavia, per cogliere appieno queste opportunità, è essenziale che gli operatori investano nella formazione dei private banker e nello sviluppo di modelli di servizio integrati, in grado di anticipare i bisogni e strutturare soluzioni personalizzate. L’evoluzione dell’offerta e il rafforzamento delle competenze saranno le leve chiave per posizionarsi in modo distintivo su un segmento ad alto potenziale, che guarda al private banking non solo come gestore di patrimoni, ma come facilitatore di crescita, continuità e innovazione.

In proposito, Greco ha ammesso che “la maggioranza dei private banker non conosce il corporate banking, per cui parla ai clienti solo di fondi, azioni e bond. Come banca stiamo facendo formazione sul tema per rimediare”. Secondo Bonansea, “servono formazione e competenze diverse, con master ad hoc per formare le nuove leve del settore. Bisogna portare valore e misurarlo: essere pratici, monitorando pochi Kpi per posizionarsi presso le imprese con credibilità”.

Favorendo il dialogo con operatori specializzati e attivando sinergie con le aree corporate e corporate investment banking, il private banking aiuta le imprese a uscire dall’ordinario e trasformare liquidità e patrimonio in leve di crescita, innovazione e competitività.

Sul tema, Miraglia ha ammesso che circa il 50% di crescita del private e wealth di Unicredit è stata condotta in sinergia con mondo corporate e large corporate, grazie a: una legal entity unica; la prossimità territoriale dei private banker, che vanno a sedersi almeno una volta a settimana con i colleghi del corporate; obiettivi comuni incentivati in modo reciproco tramite bonus. “Poi serve un lavoro manageriale affinché i colleghi del corporate e del private banking che presidiano la stessa area vadano d’accordo e collaborino tra loro”, ha chiarito. Gli fa eco Tenderini, secondo cui “è importante far lavorare il mondo corporate e del private banking insieme, anche se parlano lingue diverse. Creare fiducia tra questi due mondi significa anche trasferirla al cliente”.

Per rafforzare l’efficacia del modello di servizio, le banche stanno investendo su quattro pilastri chiave: governance, integrazione dei dati, formazione specialistica della rete e strumenti commerciali avanzati. L’obiettivo è presidiare con competenza le esigenze patrimoniali e aziendali dell’imprenditore, intercettare eventi di liquidità e costruire una relazione di lungo termine capace di generare valore per il cliente e per l’intermediario.

“Non esiste un approccio univoco, ma piuttosto uno spettro di modelli e soluzioni che devono rispecchiare il Dna di ciascuna banca private, al fine di differenziarsi con una proposizione di valore. Oltre agli aspetti organizzativi, emerge chiaramente la necessità di un forte cambio di paradigma da parte dei private banker che deve sviluppare nuove competenze in linea con quelle delle realtà imprenditoriali e necessitano quindi di un accompagnamento nel percorso tramite un upskilling mirato contenutistico e di metodo. Chi sarà in grado di unire soluzioni di valore ad un nuovo approccio al dialogo con il cliente Imprenditore potrà conquistarne la fiducia e creare valore per l’organizzazione e per tutto il tessuto economico italiano”, ha concluso Giovanni Andrea Incarnato, Italy Wealth & Asset Management Sector Leader di EY.



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